L’autore è ignoto, non essendoci – sulla tela – alcun elemento che ci possa essere di aiuto nella sua identificazione.
Visivamente, il dipinto non presenta eccessive difficoltà di interpretazione essendo evidente, a chiunque, come tutta la raffigurazione appaia finalizzata all’esaltazione di San Gennaro. L’ignoto autore, pur senza porsi eccessivi problemi di prospettiva, ma certamente dotato di mestiere, sviluppa l’impianto scenico su una scala prospettica ideale che gli consente di delineare tre sezioni. Una, in primissimo piano, nella quale colloca la figura del Santo; una seconda sezione, alle sue spalle, ove colloca gli elementi architettonici tipici di un tempio e, infine, una terza – individuabile nella parte superiore del quadro – nella quale dipinge una figura angelica.
Il disegno di base è sviluppato seguendo la diagonale che corre dal lato sinistro superiore a quello inferiore destro. Su questa diagonale, si dispiega tutto l’impianto raffigurativo. Inginocchiato su una nube, con la mano destra rivolta alla figura angelica superiore, la torsione del busto verso l’osservatore e la mano sinistra protesa verso il basso, il Santo evidenzia, con la sua immagine, lo scalare dei piani. Questi, disposti secondo una semispirale, partono dalla figura angelica inferiore sinistra, passano – con la torsione del busto di San Gennaro – alla sezione intermedia (elementi architettonici) e giungono all’angelo superiore dalle cui spalle prorompe la luce che illumina tutta la scena.
Il dipinto, dunque, rappresenta il Santo, protettore di Napoli, colto nel momento in cui, martirizzato, si aprono – per Lui – le Porte del Paradiso, veste la tipica dalmàtica episcopale che rifulge nelle sue colorazioni di rosso e oro e rivolge il volto al Cielo dal quale prorompe la Luce della Grazia Divina.
Da quella luce muove un angelo che reca, sul braccio sinistro la palma del martirio e mostra, con la destra, una corona di rose, simbolo di rinascita interiore. A destra e a sinistra di San Gennaro, compaiono due creature angeliche, di cui quella a sinistra regge un vassoio su cui ci sono le classiche due ampolline con il sangue del Martire, sua simbolo iconografico identificativo, mentre l’altra regge il pastorale.
La composizione appare ben studiata e mostra cenni di una monumentalità tipica della pittura settecentesca. Il dipinto è di difficile attribuzione ma, per analogia, soprattutto nel panneggio, nei colori e nella scioltezza compositiva è ipotizzabile che sia opera di Giuseppe De Musso (1795-1815), prolifico pittore di origini giovinazzesi. Pienamente attivo, in provincia di Bari, nel secolo XVIII è noto, in modo particolare, per aver divulgato - in Puglia - schemi napoletani desunti in modo specifico dal Solimena e dal De Mura. Il panneggio e i colori della dalmatica, ad esempio, risultano essere simili ai tanti, presenti in altri dipinti eseguiti dalla bottega giovinazzese e tra i quali figurano le tele della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Giovinazzo.
Visivamente, il dipinto non presenta eccessive difficoltà di interpretazione essendo evidente, a chiunque, come tutta la raffigurazione appaia finalizzata all’esaltazione di San Gennaro. L’ignoto autore, pur senza porsi eccessivi problemi di prospettiva, ma certamente dotato di mestiere, sviluppa l’impianto scenico su una scala prospettica ideale che gli consente di delineare tre sezioni. Una, in primissimo piano, nella quale colloca la figura del Santo; una seconda sezione, alle sue spalle, ove colloca gli elementi architettonici tipici di un tempio e, infine, una terza – individuabile nella parte superiore del quadro – nella quale dipinge una figura angelica.
Il disegno di base è sviluppato seguendo la diagonale che corre dal lato sinistro superiore a quello inferiore destro. Su questa diagonale, si dispiega tutto l’impianto raffigurativo. Inginocchiato su una nube, con la mano destra rivolta alla figura angelica superiore, la torsione del busto verso l’osservatore e la mano sinistra protesa verso il basso, il Santo evidenzia, con la sua immagine, lo scalare dei piani. Questi, disposti secondo una semispirale, partono dalla figura angelica inferiore sinistra, passano – con la torsione del busto di San Gennaro – alla sezione intermedia (elementi architettonici) e giungono all’angelo superiore dalle cui spalle prorompe la luce che illumina tutta la scena.
Il dipinto, dunque, rappresenta il Santo, protettore di Napoli, colto nel momento in cui, martirizzato, si aprono – per Lui – le Porte del Paradiso, veste la tipica dalmàtica episcopale che rifulge nelle sue colorazioni di rosso e oro e rivolge il volto al Cielo dal quale prorompe la Luce della Grazia Divina.
Da quella luce muove un angelo che reca, sul braccio sinistro la palma del martirio e mostra, con la destra, una corona di rose, simbolo di rinascita interiore. A destra e a sinistra di San Gennaro, compaiono due creature angeliche, di cui quella a sinistra regge un vassoio su cui ci sono le classiche due ampolline con il sangue del Martire, sua simbolo iconografico identificativo, mentre l’altra regge il pastorale.
La composizione appare ben studiata e mostra cenni di una monumentalità tipica della pittura settecentesca. Il dipinto è di difficile attribuzione ma, per analogia, soprattutto nel panneggio, nei colori e nella scioltezza compositiva è ipotizzabile che sia opera di Giuseppe De Musso (1795-1815), prolifico pittore di origini giovinazzesi. Pienamente attivo, in provincia di Bari, nel secolo XVIII è noto, in modo particolare, per aver divulgato - in Puglia - schemi napoletani desunti in modo specifico dal Solimena e dal De Mura. Il panneggio e i colori della dalmatica, ad esempio, risultano essere simili ai tanti, presenti in altri dipinti eseguiti dalla bottega giovinazzese e tra i quali figurano le tele della chiesa di Santa Maria di Costantinopoli di Giovinazzo.
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- Testo a cura del prof. Nino Del Rosso.
- Foto a cura del dott. Franco Stanzione.
- Foto a cura del dott. Franco Stanzione.