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Le origini

Fin dal XII secolo, nel suburbio meridionale della città, di fronte alla porta principale delle mura che cingevano la civitas, erano state eretti, frammisti a strutture produttive di vario genere, alcuni edifici religiosi, con interposti spazi recintati chiamati comunemente “chiusi”.
Fra le strutture sacro-religiose di quell’area si rinviene – registrata già dall’anno 1286 nel Codice Diplomatico Barese – una chiesa di Santo Stefano con annesso clusum in suburbio civitas Melficte: un edificio che, possiamo intuire, alquanto modesto nella sua formulazione edilizia, essendo costituito da un solo vano, con la tipica volta a crociera di concezione medievale, oggi adibito a sagrestia.
Col tempo e con la necessità di assistere, materialmente e spiritualmente, i tanti pellegrini che si recavano in Terrasanta si rese necessario ampliare l’angusta chiesuola e lo si fece inglobando parte dell’annesso clusum e realizzando un nuovo edificio, con pianta absidale a levante e con sviluppo planimetrico, a navata unica, verso ponente, come nelle concezioni medievali di orientamento.
Ignoriamo quale fosse la reale consistenza muraria di questo ampliamento che, invero, doveva essere alquanto esile nelle fabbriche e avente copertura, molto probabilmente, in legno se, nel sacco del 1529 che la città di Molfetta subì ad opera delle truppe Francesi, la chiesa riportò una danneggiamento tale da richiederne la riedificazione “ab imis”.
I confrati se ne fecero carico con l’intento di erigerla più grande e più capiente della precedente e mentre da un lato inglobarono nella nuova planimetria l’ultimo residuo dell’originario clusum, dall’altra tentarono di acquisire altre superfici, ovviamente adiacenti.
Ci riuscirono per la parte a levante, compresa fra “l’antica chiesa” e la chiesetta della SS.ma Trinità, ov’era un magazzino con adiacente terreno, ma non altrettanto potettero fare per l’acquisizione della zona di ponente, le cui trattative in corso, per ragioni che si ignorano, dovettero subire una frattura così decisa e irreversibile da risultare insanabili, nonostante la riedificazione delle fabbriche della chiesa fossero in uno stato di avanzamento così pronunciato da non consentire più alcuna modifica strutturale.
Questo spiega perché la facciata dell’attuale chiesa di S. Stefano si presenta asimmetrica, monca della parte di ponente che, nei progetti originari, doveva raccordarsi – come a levante – con la più alta zona centrale.
Con la riedificazione, la chiesa cambia il suo orientamento e, posizionandosi quasi frontalmente alla porta d’ingresso al Borgo Antico, si affaccia sull’asse viario che la fiancheggia e che, lasciandola, si dipana, costeggiando il porto.
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- Testo a cura del prof. Nino Del Rosso.
- Foto a cura del dott. Franco Stanzione.
N.B. - Tutte le foto sono proprietà esclusiva dell'autore dott. Franco Stanzione ed è vietato riprodurle senza il suo consenso e/o omettendo di citarne la fonte.

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